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…E direi che con questo monumento, insieme intimo e pubblico, Cavallini tocca una pienezza e un equilibrio espressivo, nervoso e sinfonico, che ha la miracolosa grazia delle cose perfette. La teoria delle nove grandi figure intrecciate orizzontalmente nello spazio, ma ascensionali: in parte piantate fermamente sulla terra, in parte, verso il centro, in tensione sospesa verso l’alto, sono forme che subito all’occhio diventano immagini e alludono, per lieve e intima associazione, un tripudio di atleti (tema una volta caro a Cavallini) ma anche una laica danza androgina, che scioglie il vasto lirismo in gioia di vivere.
Ma a un più insistito sguardo, riempie il cielo (rubato e serbato libero insieme) quella trina di aria e di lucido bronzo in cui potenza e snellezza sono scandite dalla consueta forma sferica (il segno di Cavallini, inconfondibile) delle teste delle mani e dei piedi. Immobile danza, abbraccio teso e potente, musicale intreccio, leggero e terrestre insieme, che ha scatto felice di canto.
Lo so. Sono queste soltanto modeste metafore verbali per mimare e nulla più il grande monumento di Cavallini, che egli dedica ‘alla pace e all’amore’. Ma è raro vedere, nella scultura civile, un pezzo di così compiuta sintesi poetica e di tanta vincitrice evidenza monumentale.
……è l’ordinare dei gesti e delle movenze, dei corpi e degli spiriti che conduce Cavallini alla sua più recente fatica: una eccezionale e nuovissima Ultima Cena. (1979).
Cosi come in un anelito di amore e di dolore aveva rinnovato il tema antico del Crocifisso, ora Cavallini compone una Cena mai vista. Una Cena che è la summa delle emozioni, dei moti dell’anima come del corpo, che è lotta e dolore, amore e vigore e che è soprattutto anche Resurrezione e Giudizio alla stesso tempo. Emblema e sintesi di tutta la cristianità, della vita di Cristo e degli uomini che in essa e per essa si confrontano quotidianamente e quotidianamente vivono nell’alterna vicenda delle cose. Laddove anche il gesto e il moto di una mano e di un piede (ed ecco il significato del ritorno a questa analitica individuazione formale) acquistano il senso e il volere di tutta l’esistenza. E i corpi si tendono, si dibattono, si liberano di ogni costrizione e si individualizzano, giudici e attori a mettere insieme la pagina più drammatica e gloriosa dell’umanità. Un’umanità che Cavallini ha dunque speculato e sta speculando sempre più con attenzione alla cosa e al mondo vigile e continuo. Come è dimostrato dalla analisi compiuta nei suoi limpidissimi disegni, vera misura della sua realtà. Essi divengono e sono infatti contenitori eccezionali di forme la cui materia è talmente pura da non comparire neppure con il più piccolo segno della fisicità….
…si faccia posto al Cristo che in piedi vi si leva altissimo, solenne guida nella schiera di quegli eletti. Mi riferisco all’Ultima Cena, che il talento ampiamente riconosciuto di Cavallini ha creato e inventando una immensa ascensione collettiva guidata nello spazio. Ritengo che sia il suo capolavoro in assoluto. Impressionante nella vastità della struttura l’immagine complessa colta a mezz’aria in un fantastico gioco di levitazione, coinvolge, insieme con le figure, tante allusioni, tanti riferimenti divini e umani, e trascina in quel vortice improprio suggestivamente insediato fra il vero e il virtuale lo stesso osservatore, il quale avverte di essere parte semicosciente dell’artificio realizzato dalla fantasia dell’artista.
Ci si trova di fronte a una scultura la cui composizione figurale, ciclopica, si sviluppa nei primi contatti raggiunti con quello spazio reso magico dal gioco singolare di elementi “architettonici” che offrono meravigliose soluzioni prospettiche.
Non sono molte in Europa le occasioni offerte agli artisti d’inserirsi in un contesto sociale, non sono molti gli artisti che si sentono di dare una tale partecipazione senza abdicare da convinzioni radicali, che vietano nel mondo moderno ogni scarto all’interiorità espressiva; per cui viene a risultare oggettivamente raro l’incontro tra esigenza o prospettiva pubblica e ispirazione artistica individuale.
Questa convergenza si è verificata nel caso di Cavallini che ha presentato al committente rappresentativo l’iniziativa di una concezione profondamente vissuta ed espressa in una forma tanto personale quanto capace di un ‘agevole comunicazione e condivisione.
L’artista stà a Firenze perché sente come pochi l’antico nesso tra scultura e città; e infatti le sue opere sono in prevalenza pensate e realizzate per la convivenza in un ambiente, architettonico o naturale. Perciò anche questo gruppo bronzeo si stanzia con tanto naturale agio nel contorno costruito ed arboreo secolare di Villa Vittoria.
Cavallini ha assunto nella sua coscienza il contenuto dominante della pace, e lo ha in felice intuizione concretato plasticamente nella forma più semplice e suggestiva: l’unanimità di un gruppo, come negli antichi giochi ginnici mediterranei e greci, nella celebrazione della forza e del valore della vita. Artista moderno e colto, Cavallini ha rappresentato questa unione ricordando le comparizioni e ritrazioni del movimento nelle esperienze cronofotografiche da Hambidge e Marey , per cui una stessa figura nella slancio si scandisce come una musica e moltiplica la potenza di ogni componente e dell’insieme.
Sostrato meditato e profondo, che condiziona l’aperto e immediato impulso di elevazione e di peana che il gruppo indice nello spettatore che ne segue e raziona la traiettoria appassionata.
Da una lettera di CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI all’Onorevole LELIO LAGORIO, Presidente della Regione Toscana:
….ho avuto l’occasione di visitare lo studio dello scultore Cavallini, e quindi di vedere il gruppo, straordinario per espressione artistica e per dimensioni, Era molto che non mi accadeva di vedere un’opera tanto originale e significativa, ed io credo che la sua naturale destinazione dovrebbe essere una piazza di Firenze, che abbia una visualità conveniente per avere dalla grande scultura una suggestione capace di commuovere anche un gran pubblico.
Al Dr. Alessandro Bonsanti, Sindaco di Firenze
Ringrazio la Civica Amministrazione, gli uomini e le donne di Firenze per il caloroso invito a prendere parte alla solenne inaugurazione del monumento alla Pace.
Nell’impossibilità di essere presente di persona, desidero sin d’ora esprimere la mia totale adesione ad un atto di profondo significato simbolico, attraverso il quale Firenze tutta ha voluto ribadire una vocazione ad una scelta che discendono dall’antica e luminosa tradizione civile della città e che traggono rinnovato vigore dalla responsabile e lungimirante considerazione dei rischi gravissimi oggi incombenti sull’essere umano. Con questa opera mirabile di Sauro Cavallini, Firenze si arricchisce di un nuovo gioiello che, al pari degli antichi, dovrà – ora ed in futuro – testimoniare dell’intimo e mai rescisso vincolo che lega l’arte alla storia e alla coscienza del popolo.
L’appello che Firenze vuole oggi con questo atto elevare, forte e vibrante, verso l’intera umanità è il mio stesso appello ; ed è quello che in ogni parte del mondo, al di là delle ideologie delle razze e delle fedi, tutti gli uomini di buona volontà siano affratellati nel perseguimento della pace.
Nel suo monumento alla Pace e all’Amore, Cavallini infonde la sua intensa vitalità in un gruppo di figure in estasi gioiosa; le braccia elevate al cielo e le gambe che si elevano dalla terra in una foresta ritmica di membra umane senza posa. Ho contato nove figure e nell’elevazione sembrano moltiplicarsi, immischiarsi in un inno alla Pace e all’Amore. E’ la danza della nona sinfonia di Beethoven e questo inno è quasi udibile all’osservatore. Sono di bronzo? Niente di metallico appare nei celebranti della Pace , atleti pieni di sangue e di linfa vitale.
Certo le parole non riescono a manifestare una simile emozione. Bisogna guardare e vedere questa scultura e il plauso al suo creatore è istintivo. L’originalità dell’opera, appare evidente.
CAVALLINI DAVANTI AL TRIBUNALE EUROPEO DEI DIRITTI DELL’UOMO
Questa scultura bronzea di Cavallini che rappresenta l’amore , la vita, la libertà, sarà posta di fronte al Tribunale Europeo dei Diritti dell’Uomo.
L’opera di Cavallini è un omaggio a tutti i costruttori dell’Europa Moderna che lottano per affermare gli stessi Diritti Umani, Sociali ed Economici in qualunque angolo delle barriere che dividono il nostro continente. Questi Diritti dell’Uomo verranno giudicati a Strasburgo. Querelanti, difensori, notai e giudici passeranno davanti all’opera di Cavallini, opera di Amore, Vita e Libertà per le generazioni future, prima e dopo aver esaminato i casi che verranno loro presentati. Le figure di Cavallini rappresentano l’incontro umano, l’impegno , il compromesso, la liberazione, l’attenzione, l’osservazione, la marcia avanti e la ritirata. Le figure umane di Cavallini vogliono rappresentare la frenesia dell’attività umana contro la quale qualcuno può danneggiare i Diritti di una singola persona oppure possono essere feriti da altri Diritti della collettività. Ma fra le figure passa la luce dell’ispirazione umana che deve guidare al giudizio, la discussione e la difesa del Tribunale. I retti giudizi esigono un rapporto affettivo verso l’umanità che è Amore, una volontà di promuovere il bene che è la vita stessa e la preoccupazione per la vita stessa per le scelte fra bene e male o fra vari livelli di bene e di male, che possono ferire o rafforzare l’umana Libertà.
Ci sono sempre nelle figure di Cavallini sottili sfumature fra luce e ombra: questo è motivo di ispirazione di un’opera d’arte, che riflette l’altissimo livello della civiltà europea del ventesimo secolo.
Tutti gli Europei devono essere grati al Movimento italiano per la Vita e al Governo Italiano per questo dono, simbolo della sensibilità europea per i diritti di tutta l’Umanità.
…infine c’è nel contrasto fra il Maestro e gli allievi un altro segno da mettere nel conto : la Parola, il Verbo e la frantumazione povera, spesso angosciata, del nostro discorso. Contrasto che verrà risolto nell’ultimo sacrificio che aspetta il Cristo e poi tutti noi, tutti gli uomini richiamati dall’arte partecipante dello scultore. Proprio in quell’aria sospesa fra la terra e il cielo Cavallini ha con la forza dell’arte grande raccontato la nostra storia, messa in luce da quella del Cristo.
La pace – diceva Benedetto Croce – è un grande ideale morale. Difendere la pace è compito oggi degli uomini politici, di coloro che reggono le sorti della coscienza pubblica, facendo ogni sforzo per allontanare il rischio di un conflitto che sarebbe forse l’ultimo dei conflitti, ma lavorare per la pace è compito degli educatori anche civili, compito di quegli uomini di buona volontà i quali nel loro campo specifico possono portare un contributo alla formazione di questi ideali. Ecco perché, a parte i meriti artistici dell’opera che si presenta, il movimento per la pace dello scultore Cavallini ha il valore di simbolo, di invito alla riflessione, in vista di una forma di convivenza che ancora non siamo riuscita a realizzare me che deve costituire il supremo obiettivo degli anni che ci attendono.
Ritrovo nel monumento alla Pace di Cavallini la straripante esuberanza ritmica, che sembra faccia proliferare e torcersi svettando le forme. Quella fervida orgia plastica si placa e si ricompone, come deve, nella sospensione contemplativa del moto, ed è un singolare effetto, anzi il classico effetto della “idea” e della sintesi, inseparabili dall’arte.
I monumenti costituiscono sempre, per gli scultori che debbono idearli ed eseguirli, degli impegni cospicui non fosse altro che per le dimensioni inusuali, per la necessità di situarli in uno spazio sovente precostituito, e perché infine c’è un tema in un modo o nell’altro da rispettare. Cavallini non è nuovo peraltro a imprese di tal genere e anche in occasione di questo monumento a Cristoforo Colombo si è mosso a suo pieno agio, costruendo un intreccio di corpi variamente connessi secondo uno schema aperto che si rivolge ad una successione ritmica di pieni e di vuoti passanti. Gli equilibri tra gli elementi verticali e quelli trasversali si attuano con piena naturalità e senza ombra di meccanica simmetria. Alla fine però è l’andamento ascensionale che predomina con un senso di vittoriosa e gioconda liberazione. Evitato ogni pericolo celebrativo e illustrativo , Cavallini ha evocato la storica “scoperta” per via genericamente simbolica , bastandogli di suggerire l’ardimento e l’impeto dei protagonisti che accompagnarono Colombo. Essersi mantenuto fedele al proprio linguaggio , non solo è stato merito dell’autore, ma ha costituito un incentivo non secondario per non cadere nella retorica encomiastica, di cui dicevo. Nel luogo in cui è collocato, il monumento introduce un tema di grande spicco figurativo e ambientale.